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i: Sara Lando
20 Agosto 2010|Autorii:

i: Sara Lando

i: Sara Lando

i: sta per intervista. Ebbene si, l’ho voluto fare. Una serie di belle domandine. Non per farmi i fatti degli altri ma per conoscere meglio alcuni colleghi che stimo e che ritengo abbiano qualcosa da dire. E ad aprire la serie è Sara Lando, giovanissima fotografa veneta dalle mille sfaccettature. Vulcanica poliedrica professionista autodidatta internettara… insomma una pazza furibonda. Con uno senso dello humor tutto particolare. Quando l’ho conosciuta ho avuto la sensazione di un giocattolino difettoso, di quelli a molla che ti aspetti che prima o poi esauriscano la carica; ma no, non lei. Lei è il pezzo difettato, quello che non esaurisce mai. Quello che ti ritrovi funzionare anche dopo esser finito sotto un treno in corsa. Un uragano di parole, di energia, di idee e di simpatia. Oltre a tenere un seguitissimo blog e la sua rubrica “Ghettofotografia”.

Le domande le ho fatte proprio per mia personalissima curiosità, e pare non siano state tra le più facili …

Mi puoi raccontare come nascono le idee delle tue foto? Se hai un processo mentale o delle cose che fai abitualmente?

Non c’è un “metodo” vero e proprio, se è questo che chiedi. In genere le idee saltano fuori come piccoli pruriti, che diventano pruriti sempre più grandi e che fino a quando non fotografo mi danno fastidio nel retro della testa. Puo’ capitare di vedere qualcosa che per una concatenazione di associazioni di idee mi fa venire in mente una possibile foto. Oppure sto parlando con qualcuno e una frase detta senza grossi significati mi fa venire in mente un’immagine particolare. A volte invece vengo attratta da un gesto, da un’espressione particolare e penso che mi piacerebbe fotografarli. A volte ho dell’attrezzatura nuova da provare e parto da quello che vorrei farci per arrivare al soggetto soltanto dopo. La cosa essenziale, per me, è fermare in qualche modo l’idea una volta che mi passa davanti; per questo ho sempre con me un moleskine, in cui scribacchio o disegno o incollo pezzi trovati in giro. Se sto guidando o se non ho carta e penna, mi registro un messaggio vocale sul cellulare. A volte passano mesi prima che io scatti quella foto. Ho grossa fiducia nel mio subconscio: so che mentre io faro’ altro, lui continuerà a lavorarci in background, rivomitandomi i dettagli risolti al momento giusto.

Quali sono le principali emozioni che scatenano il desiderio o la necessità di scattare?

La confusione, spesso. Se non riesco a mettere a fuoco come mi sento, la fotografia mi aiuta a capirlo. Quando ho cominciato a fare foto usavo la macchina fotografica come sostituto economico allo psicanalista e -anche adesso che la fotografia è diventata un lavoro- quel tipo di componente rimane fortissima, nelle foto che faccio per me stessa, sopratutto negli autoritratti. Con le parole sono brava a raccontarmela, a girare attorno alla questione senza mai affrontarla veramente. Con la fotografia ci riesco solo parzialmente e quando scatto per tre o quattro ore di seguito ad un certo punto smetto di controllare quello che sto facendo e divento sincera. Ovviamente quelle sono le foto che non vedrà mai nessuno oltre a me, la maggior parte delle volte faccio fatica a riguardarle e le cancello. Non sono particolarmente affezionata a quello che faccio. Pero’ e’ utile per mantenere un equilibrio di qualche tipo. Mio marito lo chiama “fotometro”. Se non faccio foto per un po’ di tempo divento insopportabile, se faccio foto sto bene.

Quando realizzi delle immagini per la tua ricerca pensi già al loro utilizzo o segui unicamente l’istinto?

L’unico caso in cui ho ben presente l’utilizzo delle foto che sto scattando è se scatto su commissione, perché in quel caso devo fornire un prodotto che risponda a specifiche precise, divento uno strumento. Se sto scattando per me non so nemmeno se le foto che sto facendo saranno mai viste da qualcuno. Se cominciassi a pensare a chi guarda le mie foto, non toglierei nemmeno la macchina fotografica dalla borsa, mi paralizzerebbe. Ovviamente se sto mettendo assieme un libro scatterò con in testa il formato, se penso di fare un video non metterò la macchina in verticale. E se l’idea che ho in testa prevede del fotoritocco, scatto tenendo a mente quello che dovrò’ fare dopo. Ma il ragionamento sul dopo si ferma lì.

Più pancia o più testa?

Mai solo una delle due: la mia pancia è inconcludente, la mia testa è una rompipalle. Siamo una squadra. Ovviamente a seconda del tipo di lavoro è preponderante l’una o l’altra, ma vanno sempre in coppia. Fino a qualche tempo fa la vivevo come una debolezza: credevo che la mia incapacità di perdere completamente il controllo, artisticamente parlando, fosse il mio limite più grosso. La verità è che il mio unico limite è quello di cercare di adattarmi allo stereotipo di quello che credo di dover essere invece di esplorare quello che sono e capire davvero fino a che punto posso arrivare. Poi sono arrivata alla conclusione che le regole devo deciderle io, mi sono data un manifesto in cui credo moltissimo e poi ho passato un sacco di tempo a ignorarlo, pagandone le conseguenze.

Nelle tue immagini ti esprimi in fatto del tuo passato o futuro?

Credo nessuna delle due cose. Mi esprimo in fatto di un presente che sta succedendo in una realta’ parallela credo.

Hai mai avuto paura di non riuscire a convincere te stessa della qualità del tuo operato?

Aspetta: io non sono per niente convinta della qualità del mio lavoro. Sono migliorata tantissimo da quando ho cominciato, ma fondamentalmente sono estremamente consapevole dei miei limiti, tecnici e comunicativi. Non ho una formazione fotografica come si deve, non ho fatto ‘assistente di qualche fotografo bravo. Mi sono fondamentalmente inventata, imparando a fare foto con Internet. Quando guardo le foto di “quelli capaci” mi rendo conto di quanta sia la distanza tra me e loro, sarebbe stupido non riconoscerlo.  L’unica cosa che posso fare è continuare a guardare quello che fanno loro e cercare di smontare il loro lavoro per capire come funziona e imparare a farlo anch’io, cercando di adattarlo alla mia voce. Non è falsa modestia, la mia: Internet è una lente deformante, a volte. Se googli il mio nome sembro molto più figa di quello che sono, perché ho avuto la fortuna di essere coinvolta in molti progetti belli, perché sono state pubblicate un paio di interviste e perché qui e lì salta fuori il mio nome, per cui quando qualcuno lo vede linkato in più di un posto si fa l’idea che ci debba per forza essere un motivo che dipende dalla qualità di quello che faccio.
Vedo un sacco di gente in posti come flickr che scambia l’avere un miliardo di contatti che dicono “oh, sei troppo bravo” per un effettivo riconoscimento della propria capacità e ad un certo punto cominciano tutti a entrare nel panico se una foto ha 3 commenti invece di 100, smettono di fotografare per dire qualcosa e cominciano a fotografare per farsi dire qualcosa. Alla luce dei fatti sono comunque un’artigiana che lavora in proprio da uno studio di 40 metri quadrati, che a luglio ha diversi battiti in meno ogni volta che il commercialista manda una mail, che a volte fa le notti in studio per consegnare lavori da scimmia ammaestrata che pagano le bollette. Cerco di essere il fotografo migliore possibile, ma ogni volta che finisco un lavoro lo prendo in mano e comincio a fare la lista delle cose che ho sbagliato e che avrei dovuto fare in modo diverso.
Se poi invece parliamo di lavori su commissione, il discorso è diverso. Proprio perché conosco i miei limiti, dal brief sono in grado di poter dire ad un cliente se posso soddisfare o meno una richiesta e quando mi si chiede qualcosa che non potrei fare bene come vorrei, non ho paura di dire “questa cosa non potrei farla con una qualità sufficiente per voi, ma conosco un fotografo che fa al caso vostro” oppure “questa cosa non l’ho mai fatta. Credo di poterla fare bene, ma vorrei fare delle prove prima”. In quel caso tendenzialmente riconosco quando un lavoro e’ ben fatto.

La tua vita privata influenza le tue immagini? E quanto?

Sono spesso influenzata dalle mie emozioni (ad esempio se sono felice scatto molto meno) e spesso entrano a far parte delle mie foto persone che per me sono importanti.
Però dall’altro lato la fotografia è una specie di interruttore che mi permette di staccare completamente dalla vita reale.
Per cui mi capita di avere un sistema piuttosto complesso di dighe e di decidere un giorno di usare la mia vita reale per travasare qualcosa nelle mie foto e un altro giorno di ignorarla completamente e di usare le foto come fuga. E’ un tipo di scelta che pero’ avviene naturalmente e di cui mi rendo conto solo a posteriori.

Cosa ti emoziona nelle immagini degli altri?

Difficile questa… sono talmente diverse tra loro le foto che mi provocano una reazione emotiva… credo che sia la storia che riesco ad immaginare quando vedo uno scatto. A volte ti trovi di fonte ad un’immagine e non vedi la presenza del fotografo e ti trovi di fronte ad un fotogramma e cominci a chiederti cosa sta succedendo, cos’è successo prima, chissà chi è la persona ritratta, chissà dov’è questo posto. E cominci a crearti in testa un piccolo film  popolato di persone, luoghi, sensazioni e odori. Quelle fotografie sono biglietti per Altrove e mi accorgo che torno a riguardarle più e più volte, oppure le salvo (strappandole dalle riviste o infilandole nella cartella “ispirazione”, diligentemente divisa in categorie), per poterle in qualche modo possedere, farle mie. Se una foto ha bisogno di spiegazioni per essere apprezzata, secondo me perde moltissimo. Spesso le intenzioni di chi scatta e le reazioni di chi guarda sono completamente diverse e per me questa e’ una delle cose piu’ belle dell’arte in generale: il modo in cui l’interazione dell’opera con chi la guarda crea una cosa nuova e diversa rispetto all’interazione dell’opera con chi la fa.

E nelle tue?

Credo di potermi ritenere soddisfatta quando quello che mi trovo tra le mani riesce ad assomigliare a quello che avevo in testa in una buona percentuale. La fotografia e’ un linguaggio che si deve imparare, come una lingua straniera e all’inizio chiunque non parli una lingua riesce a comunicare solo in modo confuso e in genere si limita alle cose essenziali “la penna e’ sul tavolo”, “mi chiamo Sara”, cose cosi’. La prima volta che riesci a spiegare quello che pensi in una lingua che non e’ la tua, provi una piccola sensazione di trionfo che e’ difficilmente comprensibile per chi quella lingua la parla senza problemi. Peraltro io sono abbastanza brava a nascondermi dietro un dito, per cui spesso sono reticente. Ma qualche volta riesco a spogliarmi di tutte le scuse ed essere sincera, e questo mi rende felice.

Momenti di crisi esistenziale e creativa: ne hai avuti? Come li affronti?

Ne ho in continuazione. Credo vengano forniti in bundle con la vagina. I 30 anni sono un eta’ strana, in cui da un lato senti la pressione di quello che si suppone dovresti essere come adulto e dall’altro non hai ancora dimenticato quello che dicevi che avresti voluto essere “da grande” quando pensavi di poter cambiare il mondo prima di diventare vecchio (eta’ che per gli occhi di una dodicenne corrisponde ai 35 anni). E’ una specie di adolescenza con le prime rughe e l’affitto da pagare a fine mese. L’ultimo anno e mezzo l’ho passato in uno stato di ibernazione emotiva, perché quando non sai dove vuoi andare e ti accorgi che comunque continui a camminare, non e’ facile trovare la lucidità di fermarsi un secondo e dire “sono qui perché ci sono arrivata io. Non mi piace. Voglio andare in quella direzione, gli ultimi 15 chilometri ho camminato per niente e adesso sono stanca e vorrei solo un passaggio in macchina”.
Ho la fortuna di avere al mio fianco una persona che mi fa da bussola quando rischio di perdere il senso delle cose. Ho una famiglia e degli amici che sono vicino a me da sempre, che mi hanno visto crescere e che mi permettono di avere ben chiare quali siano le priorità. In un certo senso la mia vera forza e’ la consapevolezza di non essere mai sola, che in qualche modo i problemi si risolvono e che ho molto di cui essere grata.
Nei momenti di crisi cerco di tenere gli occhi aperti, perché la cosa peggiore che si possa fare e’ cominciare ad essere egoriferiti e chiudersi in se stessi. Si finisce per convincersi che il mondo e’ ingiusto, che altri hanno cose che meriteremmo noi, che nessuno ci capisce, che non abbiamo scelta.
La verità e’ che c’è sempre una scelta diversa che può essere fatta, anche se a volte e’ difficile. E se invece di passare le giornate a lamentarti cominci ad ascoltare, ti rendi conto di essere circondato da storie pazzesche, di persone che hanno davvero rivoltato la propria vita come un guanto e ne sono venute fuori dall’altra parte. Siamo sempre più forti di quello che crediamo di essere. Dal punto di vista creativo e’ una questione un po’ complessa. Ho sempre prodotto molto e dall’esterno spesso i miei momenti di stallo non si notano più di tanto, perché comunque -anche solo per il fatto che fare foto e’ il mio lavoro- qualcosa combino.
Ho imparato ad essere più rigorosa da un lato e più permissiva con me stessa dall’altro. Più rigorosa nel senso che ho smesso di credere che l’ispirazione debba essere la componente principale della creatività: aspettare di essere ispirati per fare qualcosa è come dire che si può diventare un atleta professionista andando a correre solo quando fuori c’è una temperatura gradevole. D’altra parte ho imparato a rispettare il fatto che spesso i risultati sono frutto di stratificazioni e tentativi e che anche se in un momento preciso dello spazio tempo mi sembra di non riuscire a fare niente che valga la pena di mostrare, quello che sto facendo sta costruendo le basi per qualcos’altro.
Tenere un diario e un blog mi aiuta a guardarmi indietro con un po’ più di lucidità e a volte quello che a me sembra “non ho fatto niente per mesi” in realtà è una sequenza di foto, lavori, studi, ecc notevole.

Chi è il più feroce critico delle tue foto? Chi è la prima persona con cui ti confronti?

Non credo esista un critico più feroce di me, quando si tratta di quello che faccio. Ogni foto che scatto viene osservata come se l’avesse scattata il mio peggior nemico e provo una specie di piccolo perverso piacere nel fare la lista degli errori che ho fatto. Non mi innamoro dei miei lavori e tendo ad essere particolarmente anal retentive. La prima persona con cui mi confronto e’ sempre Alessandro, mio marito. L’aver sposato il mio migliore amico ha diversi vantaggi e uno di questi e’ che ho a portata di mano un paio di occhi diversi dai miei di cui ho infinita stima. Lui e’ il primo che si deve subire le mie valanghe di parole quando sto cercando di mettere assieme un’idea, che viene messo di fronte alle varie opzioni durante il work in progress, che si subisce la fase di down quando finisco un lavoro e comincio a farlo a pezzi. E poi ci sono un paio di amici fidati, di quelli che per motivi diversi sanno dare spunti preziosi.

Ispirazione: ognuno ha il suo modo. Per te conta più quello che vedi (libri, giornali, film…) o quello che provi (viaggi, vita, amore…)?

Sono una persona che risponde moltissimo agli stimoli visivi. Amo il cinema, sono abbonata a una quantità di riviste imbarazzante (mi scuso con l’Amazzonia), tendo a fissare le persone troppo a lungo. Pero’ mi ispira moltissimo anche quello che vedo nella mia testa, le cose che immagino quando ascolto musica o leggo libri, i piccoli film mentali che mi faccio prima di addormentarmi. Ho sempre fantasticato un sacco.

Cosa ne pensi di chi crea in team? Credi veramente che una singola foto possa essere concepita da più teste? (intendo fotografo con fotografo). Gli esempi di gruppi di successo sono molto pochi. Forse perché il fotografo ha l’esigenza di esprimersi in prima persona?

Non posso parlare per gli altri, io riesco a giocare in squadra solo se ci sono ruoli ben definiti e distinti (per cui ad esempio mi diverte lavorare con un truccatore o con uno stylist e cerco di collaborare il piu’ possibile con i soggetti delle mie foto). Pero’ nella mia esperienza, anche non in campo fotografico, se due persone stanno facendo lo stesso lavoro nello stesso momento, una sta lavorando e l’altra sta andando a rimorchio. E al di la’ di quello io lavoro tantissimo in orari assurdi, amo la solitudine e quando sto elaborando un’idea mi infastidisce fisicamente la presenza di qualcuno che tenta di interagire con me. L’idea di avere qualcuno costantemente tra le scatole, con necessita’ proprie e sentimenti da non ferire, mi metterebbe un’ansia assurda.

Considera chi sei ADESSO, in questo momento… qual’è la tua paura più grande?

Eh, sono piena di paure enormi. La morte delle persone a cui voglio bene, ad esempio. Il mio rapporto con la morte è completamente immaturo e irrazionale. Anche solo pensarci mi getta nel panico. Ho paura di dimenticare. Mia nonna era malata di morbo di Alzheimer ed e’ stato strano vederla sgretolarsi un pezzo per volta: l’unica cosa davvero nostra e’ quello che ricordiamo e non saprei dire cosa resta quando ci viene tolto. Peraltro io ho sempre avuto una memoria pessima: non sono in grado di ricordare un posto in cui sono stata, a meno che io non ci torni ripetutamente o non lo fotografi. Idem per le persone. L’idea di sentirmi altrettanto spaesata per quello che riguarda quello che mi e’ successo, le cose e le persone che amo o quello che sono mi sgomenta. Ho paura di fare la scelta più semplice invece della scelta giusta. Ho paura di non avere il coraggio di mettermi davvero in gioco quando diventa importante farlo. Ho costantemente paura di essere fraintesa. Sono una specie di gomitolo ambulante di paure piccole e grosse, ma cerco di evitare che le mie scelte siano dettate dalle mie paure invece che da quello che voglio.

Il tuo sogno più grande?

Mi piacerebbe riuscire a trovare una dimensione per poter fare quello che amo fare riuscendo a dimenticarmi completamente dei soldi (per cui possibilmente prendendone una barca) e senza rinunciare a vivere coi miei ritmi. Insomma, la proverbiale botte piena, moglie ubriaca e bottiglia aperta in frigo.

La soddisfazione maggiore?

Credo sia stato mettermi in proprio e riuscire a mantenermi facendo foto. Quando ho cominciato non ero del tutto sicura che sarebbe stato possibile. E poi ho finito Plants vs. Zombie.

La più grande rinuncia?

Non sono una che rinuncia, in genere se voglio qualcosa trovo il modo di averlo. Potrei dire che in questo momento ho dovuto mettere in standby l’idea di avere un figlio, ma la verità e’ che non sono sicura che sia una buona idea riprodurmi, per cui e’ una rinuncia fittizia. Forse rimpiango un po’ l’aver rinunciato a restare negli Stati Uniti quando ne avevo l’opportunità. Credo che sarebbe stata un’esperienza bellissima. Pero’ le cose che sono successe dopo che sono tornata sono talmente tante e belle che sinceramente non la vivo come una cosa negativa.

Tutte le immagini di questo post sono copyright Sara Lando.

29 comments
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29 comments

  • 20 Agosto 2010 at 23:21

    Non ho parole. Grazie per averlo condiviso.

    • Barbara
      20 Agosto 2010 at 23:23

      tosta eh? quando l’ho letta a me è venuta la pelle d’oca e non vedevo l’ora di pubblicarla.

  • 20 Agosto 2010 at 23:33

    Ero sul punto di commuovermi, il primo impulso era quello di abbracciarvi entrambe, ma mi sembrava troppo dirlo d’istinto.

    • Barbara
      20 Agosto 2010 at 23:37

      Non ci vedo niente di male. Sara ci insegna a “giocare” con le nostre emozioni. Non si smentisce mai! Io poi l’ho giusto un pò stuzzicata 🙂

  • 20 Agosto 2010 at 23:48

    Seguo Sara da parecchio tempo e sono molto felice di leggere questa intervista! 😀

    Grazie 🙂

  • 21 Agosto 2010 at 12:12

    Penso che ogni parola in più sia superfla. E’ una fotografia di vita che ti da forza carica per andare avanti, per cercare di realizzare i tuoi sogni e per non dimenticarti mai che nella vita ci vuole grande umiltà. Complimenti Sara per la sincerità.
    @Barbara sei un stronzetta! Certe domandine eh! 😛

  • 21 Agosto 2010 at 18:25

    *arrossisco*
    grazie mille di tutto, Barbara.
    Soprattutto per avermi fatto domande difficili e scomode. Mi hanno costretto a fare chiarezza su un paio di punti che stavo ignorando 🙂

    • Barbara
      21 Agosto 2010 at 18:27

      ohibò… fantastico 😀

  • 21 Agosto 2010 at 18:55

    Eheheheheheheh è decisamente Sara.

  • 21 Agosto 2010 at 18:55

    I miei complimenti, sia a Barbara che a Sara… un’intervista che vale la pena di essere letta 🙂

  • Barbara
    21 Agosto 2010 at 19:19

    Grazie Azabel di essere passata di qui. Da un pò cercavo un buon sito di cucina vegana che fosse anche bello da vedere (sai com’è… mica mi accontento). E comoda comoda, sei venuta tu da me. Concittadina pure… pare.
    Oggi ho avuto il mio regalo quotidiano.

  • 21 Agosto 2010 at 19:30

    Intervista stupenda!
    Grazie a tutte e due 🙂

  • 21 Agosto 2010 at 19:32

    Finalmente mi sono ricavato il tempo per leggere “con tutta calma” questa intervista. Beh, ho ancora un brivido che mi corre lungo la schiena e uno strano sorriso – di quelli che non capisci da dove vengono – stampato sul viso. Non ho mai avuto il piacere di conoscere Sara di persona (spero un giorno ciò possa accadere grazie ad una barretta di cioccolato, ad esempio) ma è certamente una delle fotografe che mi suscita maggior interesse.

  • 21 Agosto 2010 at 23:21

    tutto molto bello, saggio, giusto,interessante. Alla base RIMANE il fatto che Sara E’ una professionista. Lo so bene e non temo smentita, semplicemente perchè un grosso professionista ti invoglia a provarci e Sara ha coinvolto una grande fetta di fotoamatori che oggi ci provano, me compreso. Tutto il resto secondo me conta relativamente. ci sono foto piu belle di quelle di sara pubblicate su belle riviste, ma ci sono anche molte foto meno belle di quelle di sara. E conoscendo bene il mercato e l’età media dei fotografi che lavorano/collaborano con le redazioni, direi proprio che Sara ha delle potenzialità di crescita mostruose ed è tutto cmyk su bianco.

  • 22 Agosto 2010 at 01:42

    Concittadina, si 😀
    Grazie per il bello da vedere, detto da te è un gran complimento… ci si prova, diciamo 😉
    Vegana pure tu o è semplice interesse?

    • Barbara
      22 Agosto 2010 at 10:21

      Purtroppo solo simpatizzante. Adoro il sapore del vegan e ogni tanto mi diletto. La trovo una cucina leggera e gustosa.

  • ka300m
    23 Agosto 2010 at 11:52

    …adoro quando il mio lavoro mi permette di godere di pause. In una di queste ho letto questa intervista e scoperto questo blog che ora finisce dritto dritto nel google reader del mio account per essere tenuto d’occhio. Ringrazio anche io sia Barbara che Sara per aver condiviso il tutto!

    • Barbara
      23 Agosto 2010 at 11:57

      E’ vero, le pause sono sacre. Benvenuto Ka 🙂

  • 23 Agosto 2010 at 12:12

    Io starei sempre in pausa! Che pizza oggi si rinizia! 😀

    • Barbara
      23 Agosto 2010 at 12:17

      uh… io invece mi devo obbligare a fare le pause…. adoro il mio lavoro !!!
      sono decisamente workaholic.

  • 23 Agosto 2010 at 12:33

    Bhè io dicevo il lavoro da impiegato 😛 Mica quello da fotoritoccatore a gratis! 😀 ahuahuauh

  • 23 Agosto 2010 at 12:47

    Complimenti ad entrambe. Le domande mi hanno sorpreso particolarmente…mai banali, profonde e studiate.
    Ti sei comportata come una vera giornalista!
    Luna

    • Barbara
      23 Agosto 2010 at 13:15

      ups… ma grazie. Quindi i mei studi e buoni voti in materie umanistiche possono essere utili (anche se pensavo di no visto che faccio la fotografa). Sarà contenta la mia mamma 🙂

  • 23 Agosto 2010 at 14:26

    certo che possono essere utili! spero lo saranno anche per me visto che non faccio la fotografa (purtroppo)
    😀

  • 24 Agosto 2010 at 00:01

    Voi fotografi siete dei grandi intellettuali (nel senso vero e meno esibizionista del termine), l’ho sempre pensato e questa bella intervista me lo conferma.

  • 24 Agosto 2010 at 20:29

    Grazie Barbara…. Questo post mi ha fatto la differenza! 🙂

  • 25 Agosto 2010 at 14:11

    i complimenti a chi li fo’? a barbara o sara? facciamo entrambe che mi pare che non ci sia nessuno che non se li meriti in questo post!

    • Barbara
      25 Agosto 2010 at 14:19

      Grazie Genny. Non so come tu sia arrivata qui (immagino dal blog di Sara) ma ti avevo già vista da qualche parte… complimenti a te!

  • 25 Agosto 2010 at 15:49

    Un plauso (clap clap) a Barbara per le domande e a Sara per le belle parole (come direbbe Rispoli). Brave ragasssse!

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